Quaranta anni fa, l’11 giugno del 1984, moriva Enrico Berlinguer, segretario del PCI. A costo di scadere nell’ovvietà di un linguaggio sempre più infarcito di luoghi comuni, frasi fatte, iperboli nulla riesce a descrivere meglio dell’espressione vuoto incolmabile la sensazione che, allora, quella prematura scomparsa suscitò in una buona porzione di Italia e che, ancora oggi, permane in molti di noi.
Circa un milione e mezzo di persone giunsero a Roma per rendere l’estremo saluto a Berlinguer. Alcuni dei più talentuosi registi italiani (Scola, Maselli, Montaldo, Magni, Lizzani, Pontecorvo giusto per citarne alcuni) vollero filmare i funerali del segretario del PCI, aggiungendo le immagini di alcuni dei suoi interventi pubblici più rilevanti, fino a quell’ultimo, fatale, comizio di Padova: ne scaturì il documentario collettivo L’addio a Enrico Berlinguer. Quel documentario, unitamente al materiale proveniente dall’Archivio Audiovisido del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD) ha costituito le fondamenta di Arrivederci Berlinguer!, film diretto da Michele Mellara e Alessandro Rossi, con la straordinaria colonna sonora di Massimo Zamboni.
Il film, “pensato in chiave emozionale” è un omaggio sentito e intenso a un politico dotato di lucido spirito critico, appassionato, coerente; una figura di cui, chi della politica ha sempre avuto una concezione integra e irreprensibile, non può non sentire la mancanza. Dalla lotta antifascista nella natia Sardegna fino ai vertici all’interno del PCI, la sua carriera politica si è sempre contraddistinta per la ricerca del dialogo, l’apertura, il coraggio. Nei suoi discorsi la concretezza e la forza, la capacità di parlare alla testa e al cuore del popolo, senza vuoti intellettualismi e facili demagogie. Fiero sostenitore di battaglie a favore di “Occupazione, salute, istruzione, tutela dei bambini e degli anziani, difesa della natura e dell’ambiente”; costantemente in prima linea per “La piena liberazione della donna, il sicuro diritto dei lavoratori di associarsi sindacalmente, la produttività e l’efficienza dell’economia, il pluralismo politico, la libertà di informazione e di espressione culturale e artistica”.
Denunciò la degenerazione dei partiti politici, definiti “macchine di potere e clientela”, individuando in essa le ragioni della profonda crisi dello Stato. La sua morte improvvisa e prematura precipitò il paese nello sgomento, sgomento che si coglie pienamente nei volti, nelle parole, nel pianto disperato di un popolo che sentiva di aver irrimediabilmente perso “un padre, un fratello, il compagno” di onestà, caratura morale, rettitudine ineguagliabili. Operai, contadini, casalinghe, uomini e donne dello spettacolo, capi di stato, esponenti di partito tutte e tutti in silenzioso ossequio dinanzi al feretro di Enrico Berlinguer.
Come scrisse Natalia Ginzburg: “Abbiamo pensato che la sua morte era per ognuno di noi una disgrazia personale, una perdita personale. Ci siamo accorti che ognuno di noi aveva con lui un rapporto fiducioso e confidenziale”.
La musica di Massimo Zamboni, accompagnato da Erik Montanari e Cristiano Roversi, è molto più che un sottofondo, ma diviene una vera e propria coprotagonista. Zamboni ha saputo cogliere e raccogliere tutta la tensione e la commozione di quei momenti e tradurla in potente impatto emotivo. La musica diviene canto alla fine del film, mentre scorrono le immagini di una Piazza San Giovanni tinta di rosso: Dirti grazie, un commosso inno di ringraziamento, privo di retorica, a un uomo che sognò e lottò fino alla fine per costruire “una società di liberi e uguali”.
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