Capitolo 2.1 (parte 19) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. Anni Difficili di Luigi Zampa, musica di Franco Casavola
Ci viene presentata tutta la famiglia di Piscitello. Quando si reca al lavoro, il portiere lo ferma e gli dà una cartolina scritta dal figlio, un ufficiale del Genio militare che si trova a Perugia per le manovre. Sentiamo allora un piccolo inserto di quella melodia straziante dei titoli di testa che subito ci anticipa che suo figlio Giovanni (Massimo Girotti) sarà penalizzato più di tutti da quel tremendo periodo che il film tratta (si farà tutte le guerre volute dal Regime, si sposerà e non vedrà mai suo figlio, perché sarà ucciso a tradimento da un tedesco poco prima di poterlo raggiungere) e del conseguente dolore del padre che non ha potuto far nulla per lui. Ma questo non è detto dalle immagini. Si tratta qui di un brevissimo asincronismo, subito cancellato dalla musica seguente che accompagna Piscitello, del tutto allegro, al suo posto di lavoro al Municipio. Si risente la musica orientaleggiante, coperta da quella italianità che abbiamo visto esprimere la mediterraneità del paesaggio siciliano e, quindi, dell’animo dei suoi abitanti.
Mentre è al lavoro, con la scrivania piena di pratiche si sente un inserto eseguito dai fiati che all’unisono, muovendosi per quinte, ci restituiscono, con un effetto ironico, una sonorità da antico impero romano. L’impiegato è coperto così da una musica che inneggia al glorioso passato imperiale e che ora viene trasferita sul sistema del Regime, il quale a quel passato si ispira. A confermarci quest’effetto canzonatorio, all’impiegato Piscitello viene ordinato di presentarsi al Podestà. Piscitello, di corsa, s’affretta a raggiungerlo; la musica che lo accompagna si esprime in alcuni spunti umoristici, colti dal musicista nell’impiego sincronistico, da vera commedia, che il film qui richiede. Mentre sale le scale, si odono trilli di flauti, segnati ritmicamente dai fiati bassi che seguono l’azione rendendo umoristica l’esposizione delle immagini, le quali di per sé non hanno nulla di umoristico (siamo di fronte ad un uomo che sale di corsa le scale per recarsi dal suo capoufficio). La musica, qui, sottolinea un rapporto di subordinazione del protagonista nei confronti del podestà (chiaro simbolo del Regime).
Improvvisamente, un gatto nero appare sulle scale, accompagnato sincronicamente da un inciso di trombone che taglia e interrompe la melodia precedente. Abbiamo ora un ritmo puntato, lunghe note tenute dalle viole che fanno da pedale al basso, e tutto concorre a suggerire una situazione di imminente pericolo, sottolineato anche dalla superstizione del protagonista che fa le corna. Il sincronismo coloristico della musica ironizza, attraverso il gioco, facendo del gatto nero il segno premonitore di una reale sventura capitata sulla strada del povero protagonista, il Regime appunto, al quale dovrà piegarsi ipocritamente, senza poterlo combattere. Al di là dell’ironia, un pericolo, allora, c’è davvero ed è rappresentato dalla richiesta del podestà che ordina a Piscitello di iscriversi al partito dei Fasci, altrimenti non potrà più lavorare.
Inizia così il tormento di Piscitello, di un italiano qualunque che deve scegliere, negli anni di Regime, fra l’orgoglio (e quindi a non poter più vivere) o l’asservimento “ipocrita” ad uno stato di cose che gli viene imposto dall’alto. Cerca la risposta nella famiglia, dove sua moglie e sua figlia gli dicono che deve accettare, rivelando la loro cieca ed arrivista simpatia per Sua eccellenza il Duce; si reca poi nella farmacia dove si trovano i suoi amici che si riuniscono, come degli sterili “carbonari”, per sparlare e raccontare barzellette sul Regime. Ma nessuno, sia chi simpatizza per il Regime sia chi ne dissente, è capace di aiutarlo nella scelta: egli deve decidere da solo, questo il verdetto.
L’entrata di Caputo nella farmacia è accompagnata da un tema tenebroso ed oscuro eseguito dagli archi, mentre nella stanza, all’interno, si trovano Piscitello e gli amici che litigano l’un l’altro, addossandosi a vicenda la colpa dello stato di cose politiche in cui si trovano. Caputo, che si rivela da subito come tipo losco, come “spione maledetto” del Regime, ha qui una sottolineatura musicale non proprio necessaria, visto che la semplice immagine del personaggio ci fa capire la sua vera essenza
Segue nel prossimo numero a settembre! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano