Noi c’eravamo. Proprio noi, pubblico del terzo millennio, spaccati in individualità e ossessioni; persino in esibiti virtuosismi: da qualche parte c’eravamo. Mentre il Maestro narrava di anime e Universo, di numeri che marcano regole e d’improvviso divengono energie; lì, mentre l’allievo buono Euphemos raccontava con indulgenza di quando l’aveva visto “chinarsi sull’asino caduto e abbracciarlo e piangere con lui”. O quando Aigon, l’allievo cattivo, urlava di chiudere i porti guidando lo sterminio dei pitagorici. Perfino mentre lo stesso Maestro incitava i krotoniati ad affondare i Bronzi ravvisandone quella bellezza che parla di guerra.
Così La fuga di Pitagora lungo il percorso del sole, scritto da Marcello Walter Bruno e portato in scena da un magistrale Ernesto Orrico, non lascia scampo agli spettatori. Li prende per mano con un avvio soffuso, seducente diremmo, e li cattura dentro uno spettacolo ancestrale quanto riconoscibile. Una gabbia che buca il tempo e lo spazio, che si espande facendo diventare la saletta di SpazioTeatro a Reggio Calabria – che ha ospitato lo spettacolo nella sua rassegna teatrale “La casa dei racconti” – un non-luogo capace di una narrazione visionaria.
Orrico alterna i personaggi con diverse soluzioni: l’uso sapiente e mai caricato della voce, la maschera, un essenziale cappuccio che copre o scopre, l’efficace gestualità delle mani.
Non gli importa di creare facili similitudini con il contemporaneo: la chiusura dei porti, l’indipendenza delle donne, la repressione del diverso. La potenza dello spettacolo, fatto salvo il timbro contemporaneo, esplode nella naturalezza dei cicli che si ripetono, dentro il regolare ritorno di anime che viaggiano nei corpi di animali, di persone, o dentro le parole che assumono la forma di bellezza, odio, rancore, pietà.
Il nome di Pitagora non compare mai nel testo e Orrico, per esprimerlo luminoso e concreto, trova percorsi scenico-narrativi che lo proiettano sul palco assieme ai personaggi che con lui prendono forma come in una trasmigrazione energica, moltiplicando la stessa teoria della reincarnazione che, ecco, prende vita.
Il Polilogo in 10 numeri è fluido, mai spezzato, grazie anche a una magica sospensione regalata dalle musiche di Massimo Garritano che completa armonicamente lo spettacolo senza mai diventare semplice sottofondo. Anche la voce fuori campo di Ada Roncone in una Philtys presente e vibrante, contribuisce a realizzare una rappresentazione che sfiata, come la valvola di una pentola a pressione, nell’ultimo personaggio: un attore che incarna millimetricamente, come ogni professionista delle scene, quel miracolo del ritorno, del già detto, del già vissuto. In un virtuoso déjà-vu che ci regala – spettatori, umani, animali o semplicemente anime – lo stacco gentile da una performance emotivamente incantevole.
Articolo di Katia Colica
foto di Marco Costantino
La fuga di Pitagora lungo il percorso del sole
Polilogo in 10 numeri
di Marcello Walter Bruno
drammaturgia della scena e interpretazione Ernesto Orrico
musiche originali eseguite dal vivo da Massimo Garritano
visioni Raffaele Cimino
fotografia Raffaella Arena e Claudio Valerio
organizzazione Alessandra Fucilla
tecnica Antonio Giocondo