Cosa dire di Branduardi? Un autore sulla scena da quarant’anni, con il primo disco pubblicato nel 1974. Ha scritto canzoni e pagine di musica meravigliose.
Polistrumentista, ricercatore, artista di caratura e spessore internazionale. Che adori gigioneggiare sui suoi palchi si sa, che sappia armonizzare le atmosfere più disparate durante i suoi concerti, dalle più eteree e rarefatte, alle più divertenti e spassose si sa.
In due ore di performance all’Auditorium di Roma lo scorso 15 aprile, accompagnato da musicisti eccezionali, ha saputo incarnare dal folletto all’istrione, dal menestrello al dotto, divertendosi non poco giocare a fare il predicatore, il tutto pervaso di grande ironia.
In un periodo storico in cui l’ “artista” è prodotto a tavolino e la sua vuota proposta è pianificata in base alla facilità con cui può esser fruita dai consumatori, Angelo Branduardi, insieme ad altri pochi grandi, fa parte di diritto del patrimonio culturale italiano, ed assistere ad un suo concerto è come assistere allo spaccato di un’epoca che sta tristemente e pericolosamente tramontando. Sulla grandezza di Angelo Branduardi c’è davvero poco da dire in quanto è cosa nota, ma sul destino dell’attuale musica italiana ci sarebbe da parlare per ore, parlare e, a mio avviso, provvedere.
Testo e Foto: Victor Deleo

