Interviste

Agnese Valle, intervista

Scritto da Claudia Erba

“Da un buco nel tetto ho scoperto che si può dormire sotto l’arco delle stelle”

Agnese Valle edifica in Ristrutturazioni (Maremmano Records, 2020) un tessuto sonoro complesso, giustapponendo inserti elettronici ad architetture sinfoniche.
La timbrica vocale, che sembra negli anni aver acquisito ulteriore corpo e suggestione, sorregge una prosa testuale che vive di interazioni dialettiche: buio/ luce, fuori/dentro, carne/pietra, protentio/retentio sono i nodi concettuali di un’inedita poetica dello spazio-tempo.
Dodici brani (compresa una riuscita rilettura di “Ventilazione” di Fossati, in perfetta linea con il tone of voice dell’album) per un grande affresco esistenzialista, che della condizione umana disegna icasticamente gli slanci, i sismi emozionali, le stasi e le ripartenze, ciò che si lascia andare, ciò che invece si trattiene.
SOund36 ha incontrato la cantautrice e clarinettista romana, tra le voci più autorevoli e suggestive della canzone d’autore in Italia.

Dalle coloriture jazzy degli esordi, passando per il raffinato pop- rock di “Allenamento al buonumore” fino agli inserti elettronici del recentissimo “Ristrutturazioni”… pur nel cambio delle sonorità sembra esserci un sostrato immutabile nella sua produzione. Mi sbaglio?
Sono sempre io, a distanza di 6 anni dall’esordio, in continuo movimento e ricerca, ma sono sempre io. La scrittura melodica, la tessitura armonica e non ultima, anzi colonna portante, la parola, hanno certamente un ruolo fondamentale nella produzione, che per quanto in continua evoluzione, è sempre piegata all’esigenza compositiva, che anch’essa in movimento, suggerisce e esige un vestito appropriato. Certamente quindi (e aggiungerei per fortuna), credo si possano rintracciare elementi di continuità che accomunano i tre lavori e ne suggeriscono l’attribuzione ad un medesimo agente, e questo perché anche nell’affidare la produzione artistica ad un arrangiatore, al lavoro in band o ad un vero e proprio produttore artistico, ho scelto sempre di seguire e partecipare alla produzione senza mai delegare totalmente. Ho desiderato che ci fosse sì l’incontro di più sguardi, esperienze e gusti, ma che la mia musica continuasse ad assomigliarmi.

In “Ristrutturazioni” sembra delineare una personale poetica dello spazio-tempo. Particolarmente interessante è la dialettica del fuori e del dentro, spazio dell’intimità e spazio del mondo…quel “buco sopra il tetto”, con la sua rotondità, è l’antitesi della finestra tabucchiana, “pavida forma di geometria degli uomini che temono lo sguardo circolare”?
Diciamo di sì, anche se la finestra di Tabucchi è costruita dall’uomo per l’uomo, ad incorniciare una porzione di realtà così da poter orientare lo sguardo e non perdersi di fronte all’immensità del tutto. Il mio buco nel tetto nasce invece come danno accidentale, non una scelta, dal quale si svela una nuova possibilità. Da lì nasce l’opportunità di un nuovo sguardo, di poter volgere a proprio vantaggio ciò che apparentemente si presenta quale difetto. Così si arriva alla svolta: preoccuparsi del buco e tentare di ripararlo, o magari allargarlo, scoperchiare il tetto, e scoprire che si può dormire sotto l’arco delle stelle.

“Pensi che una suonata di clarinetto può sostituire un pasto. Può calmare i dolori più gravi.” Così Eduardo, nel film “I sette peccati capitali”. Da clarinettista, è d’accordo?
Sono d’accordo sì, come potrei non esserlo. Per chi ha scelto di fare del mestiere d’arte la propria vita è certamente esercizio quotidiano quello di combinare il pranzo con la cena. E’ un equilibrio ondivago. Ma la musica, l’arte in generale, ha un potere salvifico, anestetizza i bisogni primari colmando digiuni, rubando notti di sonno. L’arte è urgenza, necessità, cura.
Ed è con questa consapevolezza che quello squattrinato maestro di clarinetto coglie l’occasione per un’ invettiva al materialismo e all’avidità del suo esattore, pronto a riscuotere la pigione e a punire la sua inadempienza, e lo fa esponendosi nella sua incontrovertibile scelta di vita.

Le riletture di Enzo Jannacci, Ivan Graziani, Ivano Fossati sono perfettamente integrate nei suoi lavori discografici.
Alla base di questa complementarietà e coerenza finale c’è anche una ricerca filologica?
Ho sempre trovato molto stimolante interpretare canzoni nate al maschile e tradurle sia secondo un approccio artistico personale che attraverso una sensibilità altra, dettata anche dallo spostamento di genere. Questa è diventata quindi nella mia discografia un piccola tradizione: nel primo album cantavo i miei vent’anni con “Io e te” di Jannacci; nel caso di Ivan Graziani è stato diverso perché l’accostamento con questo artista, oltre che per le tematiche, ha contribuito alla svolta più rock di “Allenamento al buonumore”. In “Ristrutturazioni” invece la scelta è stata principalmente tematica: “Ventilazione” di Fossati credo sia un passaggio fondamentale di questa narrazione diluita in dodici tracce, così fondamentale quasi da non sembrare una cover.

Recentemente è entrata a far parte della squadra dei vocal coach di “Amici 2021”. Vuole raccontarci qualcosa di questa nuova avventura?
La didattica è un’attività che porto avanti parallelamente alla mia vita da cantautrice e musicista da più di dieci anni ormai, dividendomi tra il vocal coaching e il clarinetto. Non l’ho mai considerato un piano B, l’insegnamento non può essere un piano B. Quella ad Amici si sta rivelando un’esperienza molto stimolante, dove si ha a che fare con ragazzi che scrivono brani, che hanno una loro personalità o che sono costantemente alla ricerca di un’identità artistica che gli corrisponda. Io (come tutta la squadra di vocal coach) mi occupo delle loro voci, faccio il lavoro di sempre, ma più intensivo, perché ogni settimana va in scena un nuovo spettacolo.

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Claudia Erba

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