Pop Corn

50 pagine al giorno – Vox di Christina Dalcher

Scritto da Giulia Carlucci

“Il diritto è l’insieme delle condizioni che permettono alla libertà di ciascuno di conformarsi alla libertà di tutti.” Immanuel Kant

Stati Uniti. Jean parla poco. Non per scelta. Può pronunciare solo cento parole al giorno. Non una di più. Anche sua figlia porta il bracciale conta parole ma soprattutto le è stato vietato di imparare a leggere e scrivere.
Jean McClennal è specializzata nello studio delle neuropatie, e poi ci sono altre milioni di donne, che come lei hanno dovuto rinunciare non solo alla propria voce ma ad ogni diritto: niente passaporto, niente conto in banca, niente lavoro.
Un futuro distopico, in cui il nuovo governo sente la necessità di ripristinati i ruoli tradizionali, se così li vogliamo chiamare. Ordine in quella che ritiene una corruzione crescente dei costumi. Ricondurre il pater familias a unico soggetto che detiene il potere e la donna esclusivamente al ruolo di madre relegata a casa. La netta separazione tra maschile e femminile, con ruoli che si tramandano biologicamente, investe tutto: dall’istruzione alla libertà della persona. Tutto degenera in un sistema che mira a silenziare ogni possibile dissenso.

“Ultimamente, sembra che tutto sia una scelta fra diversi gradi di odio.”

Fa paura. È inquietante. Leggere questo romanzo avrebbe fatto solo paura se tutto questo non stesse davvero accadendo. Perché c’è una parte del mondo in cui agli uomini è fatto divieto di radersi, e alle donne di far sentire la propria voce in pubblico. Non si parla. Non si canta. A tutti, indistintamente, è fatto divieto di ascoltare o suonare musica. Una parte del mondo in cui un compendio di 114 pagine descrive una realtà che supera i più inquietanti romanzi distopici.

“Puoi portare via molte cose a una persona: soldi, lavoro, stimoli intellettuali. Puoi anche portarle via la voce senza intaccare la sua essenza più profonda. Ma, se le impedisci di sentirsi parte di un gruppo, se le togli lo spirito di squadra, le cose cambiano”.

La negazione di essere parte di qualcosa. La privazione della rete sociale.
Chiara è la denuncia all’ultimo governo conservatore americano, tristemente universale e assurdamente reale è l’assunto di partenza.
Christina Dalcher cerca di sottolineare quante contraddizioni ci sono in un sistema che vuole evolvere ripiegandosi su stesso.
L’idea spaventa ma i temi sono profondi e attuali, insomma la partenza è buona.  Tuttavia, nonostante la prosa scorrevole c’è qualcosa che stride.
Una nota discordante che distrae e non consente la riflessione. L’evoluzione della storia non permette di appassionarsi. Perde il peso dei temi che ha portato e verte su sequenze di azioni sconclusionate, un colpo di Stato poco credibile e un moto di ribellione inesistente. Nello sviluppo peggiora, si dissolvono quelle che erano le linee essenziali e tutto diventa un mix tra un colpo di Stato alla Casa Bianca e un moto di ribellione verso il dogma religioso in un connubio di sequenze non chiare e prive di alcuna consequenzialità. La narrazione in soggettiva non le permette una vera e propria caratterizzazione dei personaggi. Non riusciamo ad affezionarci. Non simpatizziamo. Non odiamo. Solo soffocamento. Sentiamo solo le parole che soffocano nella gola. Solo questa sensazione di impotenza. Ci ritroviamo ad aspettare una vera reazione, ma quello che troviamo pagina dopo pagina è solo un’ azione caotica, ridondante e confusionaria che si conclude con un finale tirato lì. Senza un perché.

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Giulia Carlucci

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