“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere”, José Saramago
La nostra memoria, ciò che lasciamo nella vita degli altri. Cosa ricordano gli altri di noi? Il romanzo di Paolo Di Paolo candidato al Premio Strega tenta la risposta a questa domanda.
Mauro Barbi è uno storico. Di professione. Ha dedicato la sua vita allo studio della memoria. Di ciò che resta. Ha dedicato se stesso allo studio del lago di Costanza e al racconto dell’inverno del 1573. Sei mesi di ghiaccio, che investirono il lago e tutta l’Europa Centrale. Sei mesi in cui il gelo portò la morte di moltissime specie animali. Sei mesi in cui l’atmosfera tetra e la paura della morte si impadronirono dell’intero paesaggio e della vita degli uomini.
Il racconto di quel gelo si accompagna all’analisi introspettiva per Mauro. Il lago gelato è specchio del suo gelo interiore.
Due glaciazioni diverse solo a livello temporale. Spazi distanti e paralleli.
È un viaggio in cui Mauro fa i conti con “gli incidenti emotivi” della sua vita. La trascuratezza avuta nei confronti degli esseri umani. Persone che non si ricordano di lui, segni che non ha saputo lasciare. Relazioni non coltivate.
“Dovessi dire che il mio problema è stato la timidezza, non sarei bugiardo ma impreciso. Forse sarebbe più onesto dire che nel tempo mi sono convinto di essere timido, usando da schermo la prudenza, impastata dalla paura di deludere e di essere deluso.”
Mauro prova a porre rimedio. Risponde a e-mail dopo quindici anni, tenta di riannodare fili spezzati con chi ha amato. Tutto per cercare di ricostruire davvero la memoria della collettività proponendo la sua versione della realtà.
Si è convinto di poter costruire la memoria che gli altri hanno di lui. Di far coincidere la propria memoria e quella collettiva.
Raccoglie e mette insieme i frammenti della sua vita.
Ma in quale possibile mosaico risiede la verità?
Il tentativo di ricostruire la vita è in realtà la ricerca della memoria della stessa.
Come in Paul Auster, la memoria ci appare come luogo in cui le cose accadono per la seconda volta.
È corporea la memoria di Mauro, come corporea di fa la scrittura di Paolo Di Paolo nelle descrizioni. Di ciò che è stato Mauro ricorda soprattutto immagini fisiche. Così la paura dell’oblio che trapela delle parole, si aggrappa al corpo come ultima testimonianza.
“Non è vero come dicono: non è vero che abbiamo un corpo. Siamo un corpo, lo vedi? Intirizzito, accaldato, reso bluastro dal gelo o lucido di sudore, scottato dal caldo. Non abbiamo che questo. È tutto. È quello che ci mancherà da morti. È quello che mancherà a chi resta. La poltrona rimane vuota. Le dita non tamburellano più sulla tovaglia.”
Viaggiamo nella memoria con Mauro. Ascoltiamo gli interrogativi che si pone. Sentiamo la speranza tra le righe.
La speranza nel disgelo. Perché il ghiaccio conserva. Custodisce.
Forse quel lago cui ha dedicato anni di studio può dargli le risposte che cerca. Forse queste risposte sono semplici come il gesto che potrebbe cambiare davvero tutto.
Di Paolo con con uno stile tutto suo, fatto di tatto, classicismi e contemporaneità, colloca la parola e le scelte linguistiche in uno spettro temporale- dal punto di vista linguistico- molto ampio e per questo decisamente interessante.
C’è il gelo che intorpidisce e nasconde. E poi il disgelo, che finalmente riporta alla luce. C’è la memoria che passa necessariamente attraverso il corpo dell’uomo. C’è l’importanza della memoria collettiva.
In Romanzo senza umani, l’uomo c’è ed è più che mai la lente che mette a fuoco tutto. Chi osserva, come osserva e ciò che è osservato.