Pop Corn

50 pagine al giorno- Mercurio di Amélie Nothomb

Scritto da Giulia Carlucci

“Essere brutti è rassicurante: non ci sono sfide da raccogliere, basta abbandonarsi alla propria sfortuna, farci i gargarismi, è così confortevole. La bellezza invece è una promessa: bisogna poterla mantenere, bisogna essere all’altezza”. Amélie Nothomb

Un’isola. Un castello privo di specchi e superfici riflettenti. Françoise fa l’infermiera e viene mandata lì per curare un vecchio Capitano. O almeno questo è ciò che crede. Il paziente non è lui. Al suo arrivo l’uomo, nascosto nella penombra, le chiede di curare la sua pupilla: la giovane Hazel. Unica condizione, non fare domande.
Françoise accetta, non è suo carattere fare domande che non siano di servizio, dice. Poi conosce Hazel. Il viso sfigurato o così crede almeno crede la ragazza. Hazel che da cinque anni è “rinchiusa” in quel castello.
Tecnicamente non prigioniera, perché è lei che non vuole andarsene.
Salvata dal capitano dopo un bombardamento che le dice l’abbia sfigurata e resa orfana. Omer Lancours è il suo salvatore e il suo carnefice allo stesso tempo.
Hazel è apatica, non esce mai, non vede nessuno oltre il Capitano, per il quale prova amore e paura allo stesso tempo. Tante sono le dinamiche di potere e manipolazione presenti nel loro rapporto. Françoise capisce subito che in questo rapporto c’è qualcosa che non va, e non è la differenza di età. Hazel soffre di una solitudine assoluta, o forse inconsciamente la cerca tanto da paragonarsi al Conte di Montecristo.“Piango dalla gioia di non essere più sola. Passiamo giorni a raccontarci le nostre storie, a dirci banalità che ci lasciano esaltati, perché quei discorsi semplicemente umani ci sono mancati al punto di farci ammalare”.

Le parole della ragazza pongono domande cui Françoise vuole rispondere. L’atmosfera è cupa, nonostante il luogo- colmo di libri e cibo delizioso – sembri meraviglioso. Françoise è furba e tenace, sa di essere costantemente ascolta. Sa che le domande vanno fatte con circospezione.
Così l’infermiera giorno dopo giorno conosce sempre di più della storia di Hazel attraverso i racconti della giovane. Una vita segnata da misteri e segreti profondi. Le parole della ragazza danno vita a un legame forte e il rapporto tra le due donne si fa sempre più intenso.

“Ma lei non ha nessuna idea di cosa sia l’amore: è una malattia che fa diventare cattivi. Quando si ama davvero qualcuno, non ci si può impedire di fargli del male, anche e soprattutto se si vuole la sua felicità”.

Françoise cerca tenacemente di salvare Hazel, ma sappiamo bene che si salva solo chi vuole davvero farlo. Così la Nothomb ci trascina inesorabilmente verso il finale. Uno specchio. Sentimento e ossessione. Cure e abusi. Amore e dolore ci appaiono come Indissolubilmente legati, non è dato loro di separarsi in nessun possibile finale.

“Ci fu un lungo silenzio. Françoise seguiva la scena come ipnotizzata: la pupilla non era mai stata così bella come in quel momento, con la pistola sulla tempia di Loncours, gli occhi inebriati dalla possibilità dell’assassinio. Il Capitano era trasformato, a tal punto il suo amore folle dava luce al suo volto devastato. E, per lo spazio di un istante, la spettatrice si sorprese a pensare che doveva essere esaltante essere amata da un uomo simile”.

Mercurio è un gioco di specchi, dove specchi non ce ne sono. Alla ricerca di un’identità. Un gioco in cui gli innocenti sembrano colpevoli. Dove è difficile distinguere il carnefice dalla vittima.
La penna della Nothomb è tagliente, ironica e i colpi di scena non si risparmiano. Le carte in tavola vengono continuamente mischiate.
L’atmosfera cambia continuamente, suspense e mistero si alternano a follia, amore e solitudine fino ad arrivare alla più rabbiosa indignazione o alla più profonda tenerezza.
La scrittura è precisa e brillante, senza parole superflue. I dialoghi sono serrati e donano un ritmo inesorabile, creando un’atmosfera che ci tiene in sospeso fino al sorprendente doppio finale.
Siamo trasportati in uno psicologismo immaginifico. La scrittrice ci offre il ritratto di una molteplicità di complessi psicologici. Dalla sindrome di Narciso e il difficile rapporto con lo specchio tra amore e morte, alla sindrome di Stendhal. Non mancano la sindrome di Stoccolma, il complesso saffico che ispira il rapporto tra Francoise e Hazel e in ultimo il complesso di Morfeo, in cui il sonno è cura nella giornata di prigionia e “dormire è un’occupazione ottima e piena di buonsenso”.
Un romanzo che fa riflettere su quanto possano essere profondi e importanti i rapporti di amicizia, ma anche sull’ amore, l’ossessione, e su quanto possano fare le parole. Incatenare e liberare. Anche se ci rendiamo conto del loro limite stesso. Perché se a volte non bastano per descrivere l’indescrivibile, le parole sanno come costruire un legame. Una connessione empatica. Che aiuti a capire. Così un carnefice può sembrarci vittima e lasciarci nella totale indecisione tra lieto fine o finale triste. Sta solo a noi scegliere quale. Così come sta solo a noi scegliere il perché di Mercurio.

 

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Giulia Carlucci

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