“[…] Adolescente e adulto sono due facce della stessa moneta. Hanno addirittura la medesima radice. Però adulto è un participio passato. Mentre adolescente è un participio presente. Capisce cosa voglio dire?”
Padre e figlio. Una stanza del reparto di neuropsichiatria infantile. Altri genitori. Altri figli. Adolescenti che rifiutano il cibo o se ne riempiono fino a scoppiare. Adolescenti che si feriscono. Tutti intrappolati in una gara estenuante, quella di crescere. Non deludere le aspettative.
Matteo Bussola nel suo nuovo romanzo ci racconta la storia di Tommy e Caetano, il difficile rapporto tra genitori e figli. La preoccupazione di non essere all’altezza, che tutto è tranne che esclusivamente adolescenziale.
“L’inganno, figlio mio, è che ci hanno convinti che voi veniate al mondo per piacerci. Per essere ciò che speriamo, per validare con i vostri successi la nostra qualità di genitori. Crescere è invece una lotta, che prevede una certa, una spaccatura che non si rimarginerà, la generazione necessaria di una distanza”.
A volte la preoccupazione è proprio tutta del genitore. Siamo all’altezza dei nostri figli? Delle loro paure. Delle aspettative che hanno per il futuro? Sappiamo quanto questo futuro li spaventa?E quanto ci spaventa?
La difficoltà adolescenziale di comunicare con i genitori equivale alla difficoltà dei genitori di comunicare con i propri figli. Perché per tutti arriva quel momento in cui il dialogo si interrompe. Se quando erano piccoli dipendevano totalmente da noi e il dialogo con noi li aiutava a crescere, a un certo punto arriva il vuoto. Arrivano i silenzi, le risposte a mezza bocca a volte anche fin troppo acide. Non è la comunicazione che si interrompe però. È solo il baricentro che si sposta. Per crescere. I ragazzi hanno bisogno non del confronto con l’adulto, ma di spostare la comunicazione dentro di sé. Di parlare con sé stessi, di crescere insieme ai proprio contrasti e sviluppare la propria unica personalità.
Nel reparto di neuropsichiatria infantile Bussola, attraverso storie di un pugno di personaggi reali e strazianti, rivela quanto mistero si cela nella vita di ognuno essere umano. Persino quando siamo noi ad averli messi al mondo, non possiamo sapere davvero dire di conoscerli.
Eva, Marika, Giacomo, Nicholas sono i protagonisti di questa storia non meno di Tommy. Dietro ognuno di loro ci sono genitori che non riescono a spiegarsi il perché. Cosa porta Marika a tagliarsi, Giacomo a buttarsi dalla finestra o Nicholas ad esser sempre pronto ad esplodere e arrabbiato col mondo.
Tra i ragazzi si formano rapporti tanto immediati quanto importanti, uniti dalla sofferenza si sentono parte di un gruppo.
Vite che si incrociano e si influenzano, non solo quelle dei ragazzi, uniti dal dolore e dalle difficoltà che incontrano nel divenire adulti. Un reticolo di storie e relazioni, un romanzo corale tanto realista quanto straziante. La penna dell’autore accarezza le storie e lascia il suo segno con la delicatezza cui Bussola ci ha da sempre abituato. Il suo racconto è un insieme di immagini, odori, suoni, sensazioni e coinvolge il lettore su più livelli. Tanto da essere sinestetico. Si interroga e ci interroga. Tanti sono gli interrogativi cui cerca di rispondere. Tutti però convergono naturalmente in uno: come ci relazioniamo con e per gli altri e con i nostri figli?
Perché- come ci ammonisce l’autore- troppi sono quei genitori che dipingono i propri desideri sulle tele bianche dei loro figli e troppi sono quei figli che chinano la testa o che si puniscono per punire i propri genitori. Tutti strangolati dai sensi di colpa. Tutti.
“L’anoressia di Tommy è il tentativo di spogliarsi di tutto. Delle aspettative, dei progetti, degli obiettivi, della vita perfino… Diventare anoressici, oggi lo so, è un modo per ridurre l’io all’osso, perdere ogni cosa. E qui dentro, non c’è dubbio, all’osso siamo ridotti in due: lui una parvenza di figlio, io una parvenza di padre. Entrambi senza più risposte.”
Con la sua prosa diretta, asciutta e sensibile Matteo Bussola porta alla luce riflessioni su temi come amore, perdita, speranza, ricerca di un’identità. Ma soprattutto concretizza come le nostre vite siano interconnesse e come ogni nostra azione si ripercuote sulle vite di tutti.
“Scoprire la profondità della tristezza di un figlio a neanche sedici anni è come trovare qualcosa in un posto in cui non te lo saresti mai aspettato… Come trovare la neve in fondo al mare.”
Un figura toccante, sulla bellezza e la complessità delle emozioni, che seppur fugaci lasciano sempre il segno. E dopo l’ospedale, la paura delle famiglie è la stessa. La paura di dimenticare. Di essere dimenticati. Restare da soli. Abbandonati. E vedere il ripetersi di ciò che si è vissuto. Vedere la ricaduta nel vuoto. La paura di ripetere errori già fatti.
“Il dramma è solo che sono cresciuto pa’. Che la menzogna è scoperta: tu non sei speciale, sei solo mio padre. Io non sono speciale, sono solo tuo figlio”.
Ma il messaggio finale è la speranza: “Forse noi due potremmo ripartire da qui: dal diritto di essere amati semplicemente per ciò che siamo. Non tanto come genitore e figlio, ma prima di tutto come due esseri umani che hanno voglia di dirsi chi sono”. Perché in realtà l’amore- soprattutto quello unico e inimmaginabile tra genitori e figli- porterà per ogni frattura una rinascita. Sempre.