Pop Corn

50 pagine al giorno- Dimmi di te di Chiara Gamberale

Scritto da Giulia Carlucci

“Il valore reale e corretto della vostra cultura umanistica dovrebbe essere proprio questo: impedirvi di trascorrere  la vostra comoda, agiata, rispettabile vita da adulti come morti, inconsapevoli schiavi della vostra testa e della vostra naturale modalità predefinita, che vi impone una solitudine unica completa e imperiale giorno dopo giorno”. David Foster Wallace

A volte restiamo impantanati. O ancora, desideriamo fermarci e troviamo un posto che poi si rivela essere una palude. Ma le paludi non sono sempre putride, a volte hanno l’aspetto di una vita normale in un quartiere Triste. Impantanati nelle abitudini del quotidiano, quelle socialmente riconosciute per il ruolo che abbiamo scelto di rivestire.

“Scrivere era la mia certezza, tutte le mie costanze, il mio unico rimedio all’esistenza. Finché non era arrivata Bambina”.

Così succede a Chiara, che dopo essere diventata madre si lascia attirare dall’idea di tranquillità e sostegno di quel Triste quartiere. Presto la palude si mostra e le toglie ciò che le nutre l’anima: l’ispirazione, la scrittura.
Il plot twist è l’incontro con un vecchio amico, una delle stelle polari della sua adolescenza che le racconta la sua vita. Nasce così l’idea di un viaggio immaginario e reale alla ricerca di quelle stelle polari e alla ricerca di sé. Una nuova sé, adulta.
L’ultimo romanzo di Chiara Gamberale inizia con una crisi quindi, la sua e, come ci ha ben abituati la scrittrice, è intriso di elementi autobiografici che aprono porte alle storie degli altri e da qui all’universalità.
Raccontare di che adulti sono diventate le sue stelle polari serve a riposizionare quelle stelle all’interno di un cielo che è cambiato di pari passo con le stagioni della vita.
Conosciamo Stefano, amore mancato del liceo e conosciamo Ivan, il rappresentante di istituto, un anarcoide in piena contestazione con la vita. Ma ci sono anche Marcolino e Gabriele, veri integralisti cattolici, Paloma una Italo-spagnola con cui Chiara non ha imparato l’inglese a Cork in un’indimenticabile estate.
E Grazia? L’amica dei segreti? Grazia resta sempre sotto traccia, attraversa tutto il romanzo, è in tutte le storie e l’accompagna nel ricordo del passato, ma sotto traccia.
O forse meglio dire che è rimasta sottopelle.
È ovunque anche se non più nel presente.
Storie nella storia. Quasi fosse il metaracconto di una vita. Di un’età passata e di come il tempo l’abbia trasformata nel presente. I sogni a volte si avverano, a volte si trasformano, altre volte perdono la priorità e fanno spazio ad altro. Passato e presente si mescolano senza soluzione di continuità nel comune intento di creazione del tempo interiore.

“Avevamo tanti sogni, ma da un certo punto in poi la vita diventa solo una, la nostra. Tu. Come te la sei sistemata? Dove la metti la nostalgia per quel tutto che è stato e dove la metti la nostalgia per quello che invece non è stato, ma avrebbe potuto essere, solo che ormai si è fatto tardi?”.

Dall’adolescenza all’età adulta questo è il viaggio che Chiara compie guidata ancora una volta dal percorso tracciato dalle stelle polari.
Un viaggio in cui il destino ci sorprende sempre, ci mette alla prova e spesso è avaro di premi.  Chiara ascolta i suoi interlocutori ma trova sempre un suo spazio fatto riflessioni e commenti. Le sue domande coinvolgono il lettore perché è a lui che sembra siano rivolte. Quasi a chiedere “E tu? Come vivi in questa palude? La sopporti? Sei riuscito a non rinunciare a te stesso per essere qui?”
O a chiederlo con parole sue:

“E tu? Tu come hai fatto? […] A tenere insieme quello che ti fa splendere e quello che ti consuma, a scegliere, a puntare tutto su un solo momento, su quell’incontro? Come fai, giorno dopo giorno dopo giorno, a rimanere fedele alla tua scelta, a lasciare un po’ di spazio per lo sperpero senza però permettergli di svuotare tutto di significato? Dove la metti la rabbia che avevi, dove le metti le voglie, come lo nascondi il terrore di invecchiare e la preghiera che, se deve succedere, che succeda subito, senza obbligarti prima a prendere delle decisioni?[…] Dimmi di te”.

È profonda l’indagine di Chiara, sul nostro restare funamboli dei sogni… in continuo equilibrio tra vita reale e desiderata.
Si parla di amore, si parla di cambiamenti, di sogni non dimenticati ma messi in archivio, di paure, e di scelte.
Un viaggio che le è servito a capire, a capirsi, a salvarsi.

“lo penso che l’amore sia l’unica occasione che abbiamo per capire che di noi non avevamo capito niente, per conoscerci da capo grazie a un’altra persona”.

O ancora:

“Storie d’amore, tutte.
Tutte patologie elette a sistema. Processi d’adattamento, alla morte di chi abbiamo amato o alla vita che viviamo. Tentativi di fare quadrare il cerchio, di tenere insieme il batticuore con le paure e con i giorni tutti uguali, di non rinunciare a quello in cui crediamo, ma di restare aperti a quello in cui potremmo credere e ancora non conosciamo”.

Un romanzo dinamico. Un viaggio nelle storie di altri, in cui la meta è la scoperta di una strategia di equilibrio.
Lunghi dialoghi, ricordi, riflessioni e racconto del presente si intrecciano in una trama che rende perfettamente l’idea di movimento.
Se poi serve il coraggio di chiedere, perché non sempre la risposta può piacere, serve empatia per ascoltare veramente le risposte.
Tanta più empatia per capire che non per forza dobbiamo abitare la palude, ma che possiamo sempre e in mille modi farne mare aperto.
E ci resta da lettori la curiosità di sapere cosa ne sia di questi personaggi. E ci resta da uomini l’imperativo categorico di Mark Twain “Tra vent’anni non sarete delusi delle cose che avete fatto ma da quelle che non avete fatto. Allora levate l’ancora, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite.” Insomma, perdete il controllo. O prendetevelo.
Perché “non siamo noi ad acchiappare i nostri sogni. Sono i nostri sogni che acchiappano noi”.
Perché crescere in realtà è “lasciarsi guidare da quella vocina. Per poi andare però incontro al mondo. Inventarselo, a partire dal gioco che piú ci piace fare”.

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Giulia Carlucci

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