Capitolo 2.1 (parte 22) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. Totò Tarzan (’51) di Mario Mattoli; commento musicale di Felice Montagnini e canzoni di Armando Fragna
Vediamo una lunga carovana di uomini selvaggi fare da guida ai presunti esploratori, che altri non sono se non i truffaldini che vogliono impadronirsi dell’eredità dell’uomo-scimmia, contando sulla sua naturale inferiorità. Mentre li vediamo marciare, il battere dei timpani e una breve frase ripetuta sempre identica di sassofoni o clarinetti bassi (non si riesce a distinguerne bene il timbro) costituiscono la base ritmica di un tema melodico costituito da dissonanze forti e spregiudicate dei fiati, i quali tendono coloristicamente a suggerire i tanti e misteriosi pericoli che una giungla può nascondere dietro la sua natura lussureggiante.
Ad un certo punto, i selvaggi si bloccano, rifiutando di continuare, ché quello è il regno della “scimmia bianca” (così viene chiamato il nostro Totò). Uno degli esploratori (Luigi Pavese), incurante della paura degli indigeni, si dice contento, ché ormai l’obiettivo delle loro ricerche è vicino. Un disegno mostra un esploratore, il padre di Totò-Tarzan, che morì in una spedizione, lasciando un bambino di appena cinque anni lì nella foresta. Ecco subito intervenire, puntuale e chiarificatore, quel secondo leitmotiv a tarantella che si identifica con Totò-Tarzan. Il motivetto viene, questa volta, esposto a frammenti, ora dai fiati ora dagli archi, in modo tale da dare la possibilità al musicista di costruire un impianto coloristico, capace di sottolineare la scena anche con momenti di perfetto sincronismo da commedia (si veda, per esempio, il pizzicato discendente degli archi nell’accompagnare il lancio delle noci di cocco di Totò-Tarzan sulle teste dei poveri esploratori).
Il vero intento di questi esploratori è di catturare il prezioso selvaggio; così, la stessa sera concepiscono una trappola cui egli non potrà sfuggire. La ragazza che li accompagna (ma che in seguito si opporrà ai manigoldi, perché innamorata della loro vittima) si concede a divenire l’esca d’amore, capace di attirare l’uomo-scimmia in una gabbia di bambù. Di fatto, corre voce che egli non resista minimamente davanti ad una femmina, seguendo la sua originaria e istintiva virilità naturale.
Al suono del primo leitmotiv dei titoli di testa, quello sentimentale e arabizzato, ecco la donna danzare a mo’ di donna haitiana, muovendo e roteando il bacino in sinuosi richiami. In tutta la scena, il tema viene variato e ripetuto dal flauto traverso, dalla tromba con la sordina, sostituendosi ai precedenti violini. Anche in questa sequenza, come in quasi tutte le altre del film, è dato vedere il sincronismo musicale cui la musica si piega nelle commedie (si veda il battere dei tamburi e un sassofono baritono che descrivono coloristicamente l’incedere pesante e selvaggio di Totò-Tarzan verso l’agognata preda). Il povero Totò-Tarzan, cedendo al suo naturale desiderio, viene intrappolato dai malvagi uomini che lo strapperanno dal suo idilliaco luogo naturale per portarlo laddove non sarebbe mai andato, nella civiltà.
Segue nel prossimo numero! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano