Capitolo 2.1 (parte 22) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione. Totò Tarzan (’51) di Mario Mattoli; commento musicale di Felice Montagnini e canzoni di Armando Fragna
Una volta nell’albergo, l’uomo-scimmia, non capendo affatto dove si trovi, comincia a giocare con la porta d’entrata girevole, aggrappandovisi e usandola come una giostra. E la musica qui interviene subito con un valzerino giocoso, di quelli che si sentono di solito proprio nelle fiere e nelle giostre; oltre il suo lato sincronico-coloristico, questo valzerino ha una strana particolarità, finendo e chiudendosi non con una cadenza cui si è soliti ricorrere per questi motivetti, ma con una cadenza prettamente jazzistica che carica la scena di ancor maggiore ironia.
Tra le innumerevoli azioni “anarchiche” che l’uomo-scimmia esegue una dietro l’altra nell’albergo, ce ne è una interessante. Quando, incurante della morale comune, egli si china a sbirciare dal buco della serratura di una camera in cui si trovano un uomo ed una donna che hanno appeso di fuori il famoso cartello “non disturbare”, sentiamo l’oboe intonare un a solo la cui melodia ci suggerisce il suo carattere esoterico e da incantatore di serpenti; vediamo infatti la coda (vero mezzo semiotico degli animali, col quale vengono espressi la gran parte dei loro messaggi) della pelle di leopardo di Totò serpenteggiare verso l’alto, proprio come se si trattasse del famoso numero orientale. Se ne ottiene un effetto carico di comicità, capace di suggerire, soggiogando la censura dell’epoca, un manifesto simbolo fallico del desiderio “selvaggio” dell’uomo in genere.
Durante tutto il film, vedremo l’intervento dei due leitmotiv sempre puntualmente legati al significato cui abbiamo sinora accennato. E, essendo la pellicola piena di musica (carattere proprio del film commedia), basti dire che tutti gli altri interventi del musicista saranno riconducibili alle coloriture e al sincronismo più tradizionale, la cui funzione principale e manifesta sarà quella di seguire puntualmente ciò che lo schermo va proponendo. Il musicista di quello che abbiamo analizzato non è Armando Fragna, bensì di Felice Montagnini che in questo film, come negli altri cui ha preso parte, si occupa del commento vero e proprio. L’unico vero e identificabile intervento di Fragna è riconducibile a quel secondo leitmotiv che è poi la musica di una canzone che appare solo molto più avanti. La musica da tarantella per banda viene ad accompagnare l’inno cantato nel cosiddetto campo tarzanista, formato da tutte donne che inneggiano e glorificano, rifugiandosi dietro un’ipocrita maschera di naturalità ritrovata, il prorompente ed esuberante virilismo di Totò-Tarzan. Potere che viene largamente smentito nel finale, dove vediamo il selvaggio fumare una sigaretta su un albero della giungla, allietato dal suo fedele amico Bongo (una scimmia) che gli fa da cameriere e dalla sua bella donna (conferma della sua umana e civile monogamia), e, mentre beffeggia i suoi persecutori chiusi in una gabbia, si gode, così, le “civiltà” acquisite e vantaggiose.
Segue nel prossimo numero! Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano