Recensioni

Norah Jones -Day Breaks

Scritto da Marco Restelli

la forza di Norah Jones sta proprio nell’attaccamento alle sue radici.

Questo nuovo album di Norah Jones andrebbe acquistato a scatola chiusa. Con quel suo sguardo suadente in copertina, un po’ da cerbiatta, quella foto di messaggi ne comunica diversi ed ulteriori, rispetto al pur oggettivo fascino dell’artista americana. Quel bianco e nero seppiato, molto vintage, sembra ci stia dicendo: “potete fidarvi di lei, è tornata a fare ciò che sa fare meglio”. Il riferimento è al suo favoloso album d’esordio “Come Away With Me”, che la lanciò in orbita e dal quale, soprattutto con gli ultimi due dischi, aveva preso sempre più le distanze. Era intriso di jazz – con più di una venatura pop folk – ma poi quella magia, sembrava essere progressivamente svanita, così come la speranza di rivederla ancora ad alti livelli.
Oggi, con questo “Day breaks” la Jones sembra essere tornata sulla retta via e per chi l’attendeva ormai da 4 anni (l’ultimo disco solista “Little Broken Hearts”, fu un po’ una delusione), direi che sia legittimo un piccolo un sospiro di sollievo. Sotto l’ombrello della mitica etichetta Blue Note, per rendere il suo sound credibile e all’altezza delle ambizioni di un grande ritorno ancora una volta in stile jazz, ha voluto dei veri fenomeni, come Wayne Shorter (sassofonista estroso ed elegante) Dr. Lonnie Smith (all’organo) e Brian Blade (alla batteria) e John Patitucci (al contrabbasso), ai quali ha saputo dare lo spazio che meritavano.
Il suono del piano, il suo strumento, è comunque sempre presente e comprensibilmente ha una posizione centrale quasi in ognuno dei 12 brani. Fra questi ci sono ben 3 cover, tutte esteticamente notevoli: la chicca autobiografica “Don’t be denied” di Neil Young (da lui eseguita solo nel live “Time fades away”), la morbida “Peace” di Horace Silver – con un grande assolo del succitato Shorter – e il gran finale “Fleurette Africaine (African flore)”, del grande Duke Ellington. Riguardo alla maggior parte delle restanti tracce si tratta di ballate notturne, con melodie sognanti che la voce di Norah Jones riesce a valorizzare al meglio.

“Carry On”, ad esempio, è semplice, ma incantevole col suo incedere cullante e non è un caso che sia stata scelta come singolo apripista del nuovo progetto. “Flipside” invece si distingue per un maggior ritmo ed è da considerare uno degli episodi più riusciti, raccontando di una storia d’amore che proprio sembra incapace di decollare. D’altro canto, i riverberi iniziali della title track sono forse la cosa più vicina al suo quarto disco “The Fall” (in cui cambiò un po’ genere) e le forniscono un piacevole effetto dark. In generale, sia chiaro, nessuno dei brani del disco va mai sotto la sufficienza.
Traendo le somme, non posso che confermare quanto già ampiamente emerso da questa breve recensione: chi ha amato i primi lavori della figlia di Ravi Shankar non potrà che leccarsi i baffi ascoltando “Day Breaks” (che, tra l’altro, nell’edizione deluxe propone 4 momenti live in più, fra i quali la sempreverde “Don’t know why”). Chi si attendeva, invece, un’ulteriore svolta stilistica, resterà con l’amaro in bocca e dovrà prendere atto che la forza di Norah Jones sta proprio nell’attaccamento alle sue radici. A mio avviso, questo deve averlo ben compreso anche lei stessa, mentre a noi non resta che sperare non si perda più per strada.

About the author

Marco Restelli

Originario di Latina, ma trapiantato ormai stabilmente a Bruxelles. Collaboro con diversi siti musicali. Collezionista di dischi dai primi anni '80, ascolto praticamente ogni tipo di musica, distinguendo solo quella che mi emoziona da tutto il resto.
In progetto: l'attività di promoter di eventi live di artisti emergenti nel Benelux. Sono orgogliosamente cattolico, ma ritengo che la tolleranza sia alla base delle relazioni umane. Se dovessi salvare un solo disco, fra i miei 3500, sceglierei "Older" di George Michael. La mia più grande passione, oltre alla musica: la mia famiglia e i miei tre bambini.

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