Una citazione letteraria riportata all’interno della copertina del CD che recensiamo ci introduce a quello che costituisce il probabile significato di fondo dell’opera di Nevica Noise, progetto parallelo di Gianluca Lo presti, musicista produttore e collaboratore artistico di lunga data con interessanti esperienze con Lucio Dalla, Alberto Cottica e Giovanni Rubbiani (ex Modena City Ranblers), Blaine Reininger e Steven Brown (Tuxedomoon) e con maestri amici come Gianni Maroccolo, Giorgio Canali, Paolo Benvegnu’, Manuel Agnelli, Morgan: “E in quel momento capii. Eravamo state meravigliose compagne di viaggio, ma in fondo non eravamo che aggregati metallici che disegnavano ognuno la propria orbita.” (La ragazza dello Sputnik – Murakami Haruki)
Sputnik, il disco di cui stiamo parlando, comprende otto brani per una durata d’ascolto di oltre cinquanta minuti, una vera e propria cascata di suoni elettronici che con la sua ricercata glacialità e asetticità sembra volerci raccontare di quanto l’uomo appaia sempre più afflitto dalla solitudine, inesorabilmente immerso com’è nelle profondità del proprio ego e nonostante abbia la soluzione ai propri problemi (che consiste nell’avvicinarsi all’amore, all’amicizia, alla comprensione e alla solidarietà umana, tanto per citarne alcuni, e nel farsi coinvolgere senza opporre resistenza da questi elementi) a portata di mano.
Musicalmente parlando, il lavoro di Lo Presti si presenta come una lunga suite o, per usare una espressione in voga molti anni fa, un “concept album”, una raccolta di brani, cioè, uniti da un unico filo conduttore tematico. Doppia batteria, Moog noise, Drum loops, generatori di effetti elettronici vari, campionamenti e kaosspad sono alcuni degli strumenti che concorrono alla creazione di un suono spaziale tutto sommato gradevole all’ascolto. Un disco interessante, Sputnik, che mi sentirei di consigliare agli amanti del genere ambient/elettronica.
Nevica Noise – Sputnik
“E in quel momento capii. Eravamo state meravigliose compagne di viaggio, ma in fondo non eravamo che aggregati metallici che disegnavano ognuno la propria orbita.”