Recensioni

Le Trio Joubran – The Long March

Scritto da Giovanna Musolino

Attraverso la bellezza di una musica senza tempo e senza confini,  il trio dà voce a tutti gli oppressi

“Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra:
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane, luce nei miei occhi.
(…) Ho dentro di me un milione di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta” –  Mahmoud Darwish

Esistono innumerevoli modi per combattere, scuotere le coscienze, rivendicare i propri diritti, affermare la propria identità culturale. Uno di questi è imbracciare un oud  (liuto arabo) e, attraverso la bellezza di una musica senza tempo e senza confini,  dare voce a tutti gli oppressi e i defraudati della terra, perché la musica, la poesia e l’arte, in generale, possono realmente travalicare limiti, abbattere muri ed esprimere l’inesprimibile.  Questa è la strada che dal 2004 hanno deciso di percorrere Samir, Wissam e Adnan Joubran, i tre fratelli palestinesi che compongono il Trio Joubran, giunti al loro sesto album. 
I fratelli Joubran provengono da una famiglia di artisti e sono degli autentici virtuosi dell’oud.  “The long march”, pubblicato il 12 ottobre, è un disco  ammaliante, ipnotico, suadente in cui la tradizione di uno strumento antichissimo come l’oud incontra percussioni, archi, sintetizzatore, piano, contaminando e generando un perfetto sincretismo musicale.
I nove brani che costituiscono il disco nascono nel solco della tradizione, ma non disdegnano garbati sconfinamenti in altri generi (si pensi al piano jazzato di “Clay” per citare un esempio). Questa musica struggente si imprime nell’animo. La forte identità culturale che la permea non è un limite, ma è uno dei suoi innumerevoli punti di forza, perché le emozioni e la bellezza sono universali. L’album si apre con la solenne “Time must go by”, in cui la musica diviene il sottofondo alla voce di Mahmoud Darwish, uno dei più importanti poeti arabi, morto nel 2018, che recita alcuni suoi versi.
In più di dieci anni di carriera la band si è guadagnata la stima e l’ammirazione di grandi artisti come Brian Eno e Roger Waters. Proprio quest’ultimo ha collaborato con i Joubran in “Carry the earth”, prestando la sua carismatica voce al brano dedicato a quattro ragazzi palestinesi, Mohammad Ramiz Bakr, Ahed Atef Bakr, Zakariya Ahed Bakr e Ismail Mahmoud Bakr, uccisi mentre giocavano sulla spiaggia di Gaza il 16 luglio 2014. Al cantato intenso e dolente di Waters fanno da contrappunto le voci femminili, quasi a simulare uno straziato lamento funebre di tutte le madri del mondo per “our boys” e per ogni  vittima innocente della follia umana. Commovente, struggente, meraviglioso!
“(…) Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace (…)  Mahmoud Darwish
Grazie a Ja.La Media Activities 

About the author

Giovanna Musolino

error: Sorry!! This Content is Protected !!

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Con questo sito acconsenti all’uso dei cookie, necessari per una migliore navigazione. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai su https://www.sound36.com/cookie-policy/

Chiudi