Recensioni

Lali Puna – Two Windows

Scritto da Carmelo Di Mauro

Dalla seconda finestra che i Lali Puna aprono sul mondo fuoriesce il sentore di una produzione raffinata ed elegante

C’è un fascino discreto ma intenso nei dischi dei tedeschi Lali Puna, un afflato che deriva da produzioni semplici, difficilmente ridondanti che costruiscono brani in grado di mostrare sia il lato minimal della band che quello più incline a risvolti dance.
Nei sette anni che dividono “Two windows” dal precedente “Our inventions” la band ha concesso una sola pubblicazione, un e.p. intitolato “Silver light” costituito in gran parte da remix di precedenti produzioni, rinate per l’occasione a nuova vita.
Viene da chiedersi cosa sia accaduto nel frattempo, visto il silenzio e le scarse apparizioni in pubblico. Una risposta si trova in una nota pubblicata proprio sul sito della band in cui si racconta di una Valerie Trebeljahr, la tastierista e cantante dei Lali Puna, tra i fondatori del progetto a fine anni 90, annoiata dalla solitudine e pronta a riunire vecchi e nuovi amici attorno alla prospettiva di un nuovo inizio per la band.
Una fase del tutto nuova che si nutre, però, della nostalgia di Valerie per quei periodi in cui produceva musica su un registratore a quattro piste, cercando una dimensione intima nella musica.
Questo desiderio di introspezione appare evidente per l’intero album, la voce di Valerie si propone come un sussurro, sempre morbido ma incapace di diventare litania, anche grazie a una struttura musicale abile nel dare intensità ai brani, fino a imprevedibili risvolti sonori che sanno di dance e influenze anni 80.
Le dodici tracce del disco si aprono con la title track “Two windows” che si sviluppa su un dialogo tra la voce e una base dapprima minimal, ma poi in grado di prendersi i suoi spazi e crescere di intensità. Se nella prima parte del brano è la voce a dettare i tempi del brano, presto le battute della base si fanno più nervose fino a prendere il sopravvento nelle fasi finali.
“Deep dream” è il secondo brano del disco, mosso da un accento che richiama ai suoni di Bristol degli anni 90, ma interpretato in maniera più rigorosa e maggiormente ipnotica.
Tra i singoli più riusciti vi è anche “The frame” un lavoro che vede la band collaborare con James Tamborello, in arte Dntel, eclettico compositore e produttore di musica elettronica, la cui impronta contribuisce a dare melodia a una struttura musicale che avrebbe rischiato di lasciar prevalere il lato più rigido del carattere della band.
Un velo di malinconica melodia che si coglie anche in “Wear my heart”, canzone dal gusto pop che non ci spiacerebbe risentire con arrangiamenti acustici e con una voce più intensa.
Ad uscire dal solito schema musicale è anche “Wonderland” brano che oltre ai risvolti musicali più giocosi vede una Valerie meno ripiegata su se stessa, usare la voce in maniere meno intimista, come se superata la malinconia del ricordo, desiderasse tornare ad aprirsi al mondo.
Un approccio che troviamo anche in “The bucket”, altro singolo dai toni meno eterei.
Tra le diverse collaborazioni che caratterizzano il disco vi è anche quella con “Radioactive man” che si può apprezzare nel brano finale “Head up high” il cui contributo arricchisce ancora di più le sonorità che sorprendentemente il disco può proporre.
In apparenza rigido, il disco ad ascolti successivi rivela una ricchezza di suoni che non lascia presagire con facilità quali direzioni produttive la band andrà ad assumere in questo suo nuovo percorso professionale.
Dalla seconda finestra che i Lali Puna aprono sul mondo, fuoriesce il sentore di una produzione raffinata ed elegante e un suono la cui eco che spiacerebbe sentire sfumare per altri sette anni.

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Carmelo Di Mauro

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