Sulla musica

LA MUSICA NEL CINEMA DEL DOPOGUERRA ITALIANO – Capitolo 2.1 (parte 13)

Capitolo 2.1 (parte 13) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione
Cronaca di un amore (’50) di Michelangelo Antonioni; musica di Giovanni Fusco

Capitolo 2.1 (parte 13) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione
Cronaca di un amore (’50) di Michelangelo Antonioni; musica di Giovanni Fusco

Il leit-motiv dei due amanti e del tragico passato che li lega, ritorna nella squallida camera d’affitto dove abita Guido. Li troviamo lì sul letto, si sono appena amati, ma Guido non è contento, la sua coscienza non è leggera come quella della demoniaca Paola. Ricordano, così, per la prima volta, quel tragico incidente che causò la morte di Giovanna, caduta giù nella tromba dell’ascensore. Paola e Guido erano lì insieme a lei, si erano accorti di quel vuoto, dello scuro baratro, eppure non l’hanno fermata, non hanno detto nulla, in tacito accordo, ed ora sono colpevoli. Ma mentre Paola vede tutto in funzione del destino (finalmente ha Guido tutto per sé), Guido sente le sue mani piene di sangue. La musica ormai coincide perfettamente con l’animo di Guido che vuole rivoltarsi al male e redimersi, ma senza però riuscirci, incalzato e sedotto dalla fatale Paola.
E, sempre nella stessa scena, entra poco dopo l’altro leit-motiv, quello dei titoli di testa, che si svela finalmente nel suo significato che va oltre la manifesta inquietudine: è la morte. Infatti, è sempre Paola ad insinuare drammaticamente l’idea di far morire il proprio marito ed essere finalmente liberi; Guido non riesce più a controllarsi, non può reggere quella diabolicità cui pure, però, andrà incontro, e se ne va lasciandola sola.
I due leit-motiv sono tutti e due portatori di un significato nefasto, quello della morte. Mentre l’uno si lega a qualcosa che è già passato, a farla rivivere è l’altro leit-motiv: il loro amore è portatore di morte. I mezzi di questa morte dovrebbero essere loro, anche se vi partecipano non in senso fattivo, cioè compiendo i delitti, ma, così sembra, con la forza della volontà, conscia in Paola e inconscia in Guido, come fossero preda di un tremendo sortilegio.
Nella sequenza seguente, vediamo Paola da sola nella sua bella stanza. La tristezza, l’angoscia si impadroniscono del suo animo. Sentiamo, mentre la vediamo disperare, un solo del sax contralto che esegue una melodia basata sulla ripetizione di quattro note per gradi congiunti (per esempio, do-re-mi-fa), seguite da note lunghe che lasciano l’anima della donna come sospesa sull’orlo di un inferno da cui è impossibile uscire. La musica è il suo carcere, dove ella si muove disperata, senza avere la possibilità di uscire: ella è destinata come tutte le donne fatali a portare distruzione e insieme un amore infinito, di cui solo lei è capace.
Inutili gli sforzi di Guido nel prospettargli l’idea di fuggire insieme e rifarsi una nuova vita. Lei non ci sta, non potrebbe vivere con pochi soldi e in camere d’affitto. L’unica cosa da fare è uccidere il marito: Guido dovrà sparargli, completamente avvinto ai voleri di lei. Decidono di colpirlo mentre torna a casa la sera dal lavoro all’altezza di un ponte.
Prima di tornare a casa, l’ingegner Fontana paga l’investigatore e legge il suo rapporto. E’ così che viene a conoscenza dell’oscuro passato della moglie, dei suoi flirt e in special modo del terribile sospetto che lega Paola e Guido alla tragica morte di Giovanna Carlini. Il marito prende con la sua macchina la via di casa, andando a forte velocità, visibilmente sconvolto da quanto appreso.
Intanto, in un montaggio alternato-parallelo, vediamo Paola nella sua stanza con un bellissimo abito da sera bianco e Guido che attende nell’oscurità di compiere l’insano gesto. Ma prima di giungere al luogo convenuto, la macchina sbanda e si rovescia, catapultando violentemente l’ingegnere sul ciglio della strada, dove viene trovato morto.
Ormai non c’è più nulla da fare: il mancato delitto scava un abisso incolmabile fra i due amanti. Mentre vediamo Guido allontanarsi in un taxi diretto alla stazione, Paola lo segue con gli occhi piangente, ormai sola con la propria diabolicità. Interviene allora il solo del sax contralto, quello della scena in cui vediamo Paola in preda alla disperazione, che riecheggia fortemente il drammatico destino della donna, abbandonata per sempre dal suo unico amore.
E’ la melodia della solitudine, confermata anche dal fatto che sia solo il sax a suonare, con il suo timbro beffardo, ambiguo che ben rappresenta la Bosè femme fatal.
Giovanni Fusco ha capito completamente che ciò di cui ha bisogno un film è la terza dimensione, quell’ulteriore profondità che giunge fino a far vibrare le ultime corde segrete dell’immagine fotografica.
E questo vale a maggior ragione per le pellicole di Antonioni che giocano sempre sullo scavo dell’anima e sull’introspezione psicologica. Non si può immaginare musica differente da quella concepita da Fusco per un film come Cronaca di un amore che prende le distanze dal neorealismo e sceglie di ritrarre il disagio esistenziale di una borghesia vuota ed ipocrita. Veramente la musica diviene anima e non semplice contorno dell’immagine visiva, rinunciando all’ovvietà del tradizionalismo, scegliendo un duetto come il pianoforte e sassofono concepiti in una composizione colta, intervenendo solamente in pochi punti e facendosi portatrice (con i leit-motiv) di messaggi sconvolgenti che le immagini tendono a celare, almeno in un primo momento.
Si può ben dire insomma che attraverso questa positiva collaborazione tra un maestro del cinema come Antonioni e un acuto musicista come Fusco, nasca una nuova concezione del film tout-court e di riflesso quella di una moderna idea della musica cinematografica in senso propriamente modernista. C’è da dire, inoltre, che questo musicista e questo regista hanno già lavorato insieme, creando un lavoro meritorio sia sotto il punto di vista musicale sia sotto quello visivo.
La riuscita di Cronaca di un amore (primo lungometraggio di Antonioni), insomma, è già preannunciata dal precedente cortometraggio del 1948, N.U. (Nettezza Urbana), in cui la musica accentua quel senso di abbandono, di tempo sospeso che lo caratterizza, utilizzando un clarinetto e un sassofono.

Segue nel prossimo numero!

[box]Tratto dalla Tesi di Gianluca Nicastro La musica nel cinema del dopoguerra italiano[/box]

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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