La soffitta

David Sylvian – Secrets of the Beehive

Scritto da Marco Restelli

SOund36 intende da oggi “rispolverare” la sua rubrica storica la “Soffitta” proponendo ai propri lettori recensioni di dischi del passato, recente o lontano, a loro modo storici – magari anche best seller – che per motivi diversi non hanno mai raggiunto tutto il pubblico, restando in qualche modo album per appassionati o, come si dice in gergo, “di culto”. La speranza è che coloro che non li hanno mai ascoltati possano innamorarsene almeno quanto noi che invece li abbiamo consumati e quelli che già li conoscono li rimettano nel lettore cd o sul piatto, riassaporando così il gusto delle loro preziose note.

Come primo episodio di questa nuova tornata, abbiamo deciso di raccontarvi lo splendido Secrets of the beehive di David Sylvian.
Si tratta del terzo disco solista dell’ex leader dei Japan che aveva già iniziato un proprio percorso artistico nel 1984, con l’affascinante Brilliant trees (dominato da suoni elettronici, sapientemente contaminati con strumenti tradizionali) seguito dall’altrettanto intrigante Gone to earth. L’approccio musicale era stato da subito diverso da quello proposto insieme alla sua ex band, scavando ancora di più nell’introspezione. Ma pur essendo i citati predecessori esteticamente notevoli, il capolavoro arrivò esattamente trent’anni fa – nel 1987 – con i “segreti dell’alveare”. Sin dalla copertina, il fascino di quest’opera conquista, esponendo misteriose nature morte in bianco e nero formate da piume, sabbia e radici apparentemente disposte in maniera casuale, ma al contrario composte con acume e ritratte dal bravissimo fotografo Niegel Grierson.
Il mood è decisamente dark e lascia che la voce cavernosa e nello stesso tempo angelica di David penetri sotto la pelle di chiunque abbia avuto la fortuna di mettersi in ascolto. L’apertura di September, solo col piano e un accenno di archi, spiazza per semplicità e brevità lasciando intendere che ci si sta per immergere in un’esperienza unica che coinvolgerà spirito, cervello e cuore. Impressione subito riconfermata dalla seguente The boy with the gun il cui testo parla di un personaggio inquietante che miete le sue vittime una dopo l’altra in modo spietato. La più bella canzone potrebbe essere facilmente riconosciuta nel singolo Orpheus con la sua melodia meravigliosa e quel suono del flicorno che la rende così speciale – ma la verità è che si potrebbe restare quasi ipnotizzati anche dall’intreccio di chitarre acustiche di Phil Palmer e di Sylvian, servite su un piatto d’argento nell’impareggiabile When poets dreamed of angels. Fra le canzoni che ho ascoltato più volte nella mia vita.
A questo punto sarebbe anche lecito pensare che il meglio sia ormai passato e invece il climax di armonia e grazia continuerà senza sosta fino ad imbattersi nella malinconia struggente di Let the happiness in e Waterfront.
L’artista inglese chiamò in studio, fra gli altri, il geniale amico giapponese maestro di musica elettronica Ryuichi Sakamoto che, dotato di un invidiabile estro, conosceva bene l’arte di unire il gusto della musica orientale con quello della musica occidentale. In diversi pezzi, infatti, figura solo come arrangiatore della sezione archi, mentre in alcune suona l’organo, il piano o le tastiere. Il suo tocco più riconoscibile, però, si evidenzia nel brano finale e forse più conosciuto: la sognante Forbidden Colours (di cui è coautore insieme allo stesso Sylvian) che profuma della terra del Sol Levante. La canzone fu inserita in Secret of the beehive nonostante facesse parte della colonna sonora del film “Merry Chrismas Mr. Lawrence”, fosse più risalente (del 1983) e in qualche modo, quindi, estranea al disco.
Chiudo ricordando che qualora cercaste questo disco nei negozi – in edizione rimasterizzata –  Forbidden colours risulterà “magicamente” sparita dalla track list, sostituita dall’ispirata Promise (The cult of Eurydice), che non finì nella originaria versione iniziale su vinile, pur presentando maggiore omogeneità stilistica e coerenza con il resto dell’album. Per questa ragione la scelta di inserirla, anche se in ritardo, è ampiamente condivisibile.
Album semplicemente irripetibile.

About the author

Marco Restelli

Originario di Latina, ma trapiantato ormai stabilmente a Bruxelles. Collaboro con diversi siti musicali. Collezionista di dischi dai primi anni '80, ascolto praticamente ogni tipo di musica, distinguendo solo quella che mi emoziona da tutto il resto.
In progetto: l'attività di promoter di eventi live di artisti emergenti nel Benelux. Sono orgogliosamente cattolico, ma ritengo che la tolleranza sia alla base delle relazioni umane. Se dovessi salvare un solo disco, fra i miei 3500, sceglierei "Older" di George Michael. La mia più grande passione, oltre alla musica: la mia famiglia e i miei tre bambini.

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