Capitolo 2.1 (parte 15) I musicisti cinematografici del dopoguerra: i “maggiori”, fra tradizione ed innovazione.
Cielo sulla palude (’49) di Augusto Genina; musica di Antonio Veretti
Il film, come si legge nei titoli di testa, è di argomento agiografico, essendo basato sulla vita e il martirio di Maria Goretti (nata a Corinaldo, Ancona, nel 1890; morta a Nettuno nel 1902). Fanciulla di poverissima famiglia di contadini, rimasta orfana del padre all’età di dieci anni, dovette lavorare duramente per aiutare la madre nel mantenimento di una numerosa famiglia.
Fu uccisa, a coltellate, da un giovane che, animato da un’insana passione, l’aveva più volte insidiata, ma era stato sempre respinto. L’omicida, convertitosi, si diede, poi, a vita di penitenza.
Il film esce, probabilmente, in coincidenza della canonizzazione a Santa, avvenuta intorno al 1950 e presenta l’argomento in chiave neorealistica, in cui, però, trovano largo spazio gli elementi e le visioni appartenenti al genere melodrammatico.
La musica accompagna, nei titoli di testa, le oscure immagini tese a rappresentare il terribile paesaggio che le campagne intorno a Roma offrono alla fine del secolo scorso, un immenso deserto d’acqua immobile, dove prosperano la malaria e la febbre, gli alberi sono contorti e tetri, il cielo è nero e gravido di pioggia, un paesaggio malsano e quasi malefico, insomma, i cui pochi abitanti, per la maggior parte poveri contadini, sono costretti a sopravvivere nella miseria, nella ferocia e nella superstizione, rivolgendo la loro ultima speranza al Signore.
A caricare le immagini di ancor più plumbea pesantezza è proprio il movimento musicale che Veretti riesce ad individuare: un tema formato da accordi (in modo minore) ben scanditi, netti, eseguiti da tutta l’orchestra. Tale apertura ricorda molto, anche per la sua forza espressiva, lo stile del grande compositore classico-romantico Beethoven ed in particolare del suo Concerto per pianoforte e orchestra, n. 3, dove abbiamo una “presentazione dell’accordo” del tutto simile.
Il forte iniziale decresce fino a giungere ad un tema legato (formato dagli stessi accordi dello staccato precedente), seguito da un solo d’oboe che ripete il tema ancor più tristemente, portandoci da un sentimento spaventoso ad uno pienamente lugubre, tetro, immobile, insomma trasmettendoci fortemente quel senso di morte che vige in quelle sterili ed ostili paludi.
Poco dopo, vediamo la numerosa famiglia Goretti rifugiata sotto i porticati, di fronte una cascina. Sta piovendo e si stanno riposando adagiati per terra, sulla paglia, in attesa del fattore cui devono chiedere lavoro (che gli verrà rifiutato). Tutta questa scena è sottolineata da una musica melanconica, triste che ci fa penetrare, insieme alle belle inquadrature, nella profonda “nebbia” che avvolge quei poveri contadini, i quali, non avendo più lavoro, sono costretti a ramingare di paese in paese per assicurarsene uno. Nasce quel sentimento di trasognata rassegnazione che ci fa provare pietà per quei poveri bambini, sfiniti dalla stanchezza e segnati dal dolore delle vesciche sotto i piedi.
La composizione si rivela di stampo neoclassico, nel suo intreccio di accordi in tonalità minore eseguito dagli archi, e scandito più in là dai flauti, poi dagli oboi ed infine da tutta la sezione dei legni dell’orchestra moderna e che ben s’adagia alla drammaticità della scena, coprendola di un alone di eccezionale espressività lirica.