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Berlin-Babylon Project @ Costa Paradiso

Scritto da Claudia Erba

Uno spettacolo oscuro e immaginifico di immediata resa sonora e scenica

In un’ ideale linea di congiunzione tra le due capitali che sono state, in epoche diverse, il crocevia dei movimenti artistico-culturali più significativi si inscrive il Berlin-Babylon Project di Salvatore Papotto, uno spettacolo oscuro e immaginifico di immediata resa sonora e scenica rappresentato il 9 agosto nella cornice sarda del Jolly di Costa Paradiso.
Gli spettatori hanno potuto apprezzare la singolare combinazione di onirismo di stampo ambient, riverberi dub e spasmi synth, rumorismo e incursioni jazz che caratterizza il progetto, improntato alla ricerca di una dimensione identitaria nuova, ibrida e contaminata. Sonorità industrial, techno e jungle tipicamente berlinesi si sono alternate durante il live a suoni percussivi e fascinazioni medio-orientali.
Il Berlin-Babylon Project convoglia in una creazione originale una molteplicità di influenze: nell’universo visionario e ipnotico di Salvatore Papotto, che sembra rielaborare gli esiti più felici della French music, si rinvengono reminiscenze dei The Prodigy e dichiarate citazioni dell’espressionismo degli Einstürzende Neubauten, passando per l’ avanguardia elettronica tedesca e americana, l’ easytronica degli Air, lo psichedelismo romantico dei Chemical Brothers, lo spirito rétro dei Daft Punk ed il sorprendente patchwork sonoro dei Goblin.
Il Berlin-Babylon Project si muove tra oralità, scrittura e fonografia disegnando una personale topografia dell’improvvisazione transidiomatica, nella quale il suono viene trattato in tempo reale attraverso l’impiego combinato di strumenti acustici ed elettronici. Un tentativo di superamento della dicotomia composizione/improvvisazione è attuato mediante l’innesto-su basi elettroniche confezionate sapientemente dall’artista- di un istant composing melodico, realizzato live attraverso campionamenti e loop-station, con l’apporto ora del basso elettrico, ora del contrabbasso in funzione di collante. Tuttavia il Berlin-Babylon Project si inserisce nello scivoloso terreno di confine tra performance e opera, senza volerne forzatamente risolvere le ambiguità che ab origine lo caratterizzano: pur non essendo estranea al progetto un’intenzionalità artistica ed essendo presenti indubbiamente, almeno in parte, degli elementi o delle strutture pregresse, l’evento musicale è immune da qualsivoglia valore prescrittivo; l’autore mette in scena una autentica estetica dell’imprevisto non reinterpretabile, ma che può nel contempo costituire l’origine di un’opera fonografica; si tratta di un evento estemporaneo collocato in un ben identificato contesto spazio-temporale, un’ “opera in atto”, per dirla con Sandrine Darsel (2009); permane-infine- lo iato tra tendenziale irripetibilità e registrazione cristallizzatrice.
In questo orizzonte irrisolto e volutamente in fieri, che tende a contrastare la caduta auratica attraverso il rafforzamento della dimensione incommutabile dell’hic et nunc, risiede il fascino del Berlin-Babylon Project, profondamente postmoderno nella sua polisemia.

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Claudia Erba

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